Uno dei libri che sto leggendo in questo momento è Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas.
È probabile che qualcuno di voi si ricordi lo sceneggiato televisivo di ormai parecchi anni fa, oppure il film. E di sicuro in molti l’hanno letto ed è considerato un classico, seppure un po’ sui generis.
Il conte di Montecristo è quello che oggi verrebbe definito un romanzo pop. Del resto è così che nasce, scritto e pubblicato a puntate su un quotidiano francese. Ai tempi in cui i quotidiani erano popolari, costavano meno, giravano di mano in mano, si trovavano anche nei caffè. Tempi in cui gli scrittori, poveri come sono adesso e in cerca di lettori come sono adesso, si adattavano e facevano quel che potevano.
Dimostrando, nel caso di Dumas ma anche in altri, che i vincoli, le costrizioni e gli impedimenti sono quello che alimenta la creativtà e fa nascere le cose belle.
Al momento sono sì e no a metà, del Conte di Montecristo, e non so proprio dire quando riuscirò a finirlo. Ma non mi importa. Lo trovo un libro divertente e rilassante. È pieno di digressioni, di cui molte di sicuro per raggiungere il numero di pagine previsto; è pieno di avvenimenti del tutto improbabili, ma in qualche modo viene voglia di stare al gioco. Di dire e dirsi, ma si, lo so benissimo che non potrebbe mai succedere nel mondo reale, ma chi se ne importa, sto leggendo, posso immaginarmi quello che voglio, perché mai devo limitarmi a quello che è possibile o probabile, e invece non viaggiare con la fantasia direttamente nell’impossibile?
È questo il patto segreto tra l’autore e il lettore: se ti fidi, se mi segui, se non stai lì a fare tante storie su quel che si può e non si può, io scrittore ti porterò dove da solo non saresti mai andato.
Vi pare poco?
A me proprio no. E quindi mi sto facendo portare da Dumas per ora tra Marsiglia, la Francia, il Mediterraneo. Sono già stata su delle barche, in una prigione, dentro una grotta, in una locanda sgangherata e alla corte del re… e chissà di qui alla fine del libro dove altro andrò!
I romanzi pop, quelli che ai tempi di mia mamma si chiamavano feuilleton, non sono quasi mai considerati chic. Io invece penso che proprio per la totale assenza di snobismo e di pretesa, per la loro qualità pura e semplice di “piacere del racconto”, siano superchic!
Che ne dite?
Intanto buona giornata!
Anna da Re, blogger di ChicAfterFifty e opinionista per DonnaModerna.com e GreyPanthers.it
L’ha ripubblicato su Chic After Fifty.
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